Yabelo
Nell'Etiopia meridionale, in Oromia, quasi al confine col Kenya, vivono i pastori di etnia Borana (“le genti del mattino“), una popolazione seminomade che durante la stagione secca si sposta con le mandrie per raggiungere pozzi centenari, da cui estrarre l'acqua per garantire la propria sopravvivenza e quella del bestiame.
I pozzi sono scavati a mano nella roccia dai membri di interi villaggi, e costruiti ad alti gradoni fino ad arrivare a 30/40 metri di profondità. Ai pozzi, riparati da alte pareti di pietra nel mezzo di una zona desertica, si accede da stretti canali, attraverso cui risalgono intere mandrie di buoi e vacche.
Perché sono detti “cantanti”? Avvicinandosi all’imboccatura dei pozzi si ode una melodia: i canti dei Borana. Decine di uomini, donne ed anche bambini si calano nei pozzi e, immersi nell’acqua e armati di secchi, tirano su l’acqua dai terrazzamenti fino all’abbeveratoio e lo fanno cantando. Il suono di questa nenia pastorale li aiuta a mantenere il ritmo nel passarsi i secchi d’acqua e ad avvertire meno la fatica e la noia.
I Borana si dedicano a turno e volontariamente all'estrazione dell'acqua e lo fanno non solo per il proprio villaggio ma anche per quelli vicini. L'acqua è per tutti, ne è severamente vietato il commercio e la sua gestione è pacificamente condivisa tra membri della stessa etnia.
I pozzi cantanti sono dunque una realtà che spinge a numerose riflessioni sull'accesso all'acqua come diritto universale, sulle pratiche di partecipazione comunitaria, sul rapporto tra tradizione e modernità, ed infine sul lavoro e i diritti essenziali ad esso connessi.